Motivazione e soddisfazione del personale: le quattro tipologie di dipendenti in azienda

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Tutti i manager sanno che quando un collaboratore è motivato e soddisfatto mette il cuore e l’anima nel suo lavoro ed avrà l’energia e l’eccitazione per dare più di quanto gli viene richiesto. In qualità di consulente, formatore, coach, ma soprattutto di imprenditore quando devo scegliere un nuovo collaboratore cerco di dare alla motivazione una valenza superiore rispetto a tutte le altre competenze espresse dal candidato.

La mia esperienza mi porta a dire che non c’è organizzazione (anche la più piccola) che almeno nelle intenzioni, non presti attenzione a mantenere alta la motivazione e la soddisfazione dei propri collaboratori.

Eppure secondo una recente indagine riportata da SHRM (Society for Human Resource Management) sembra che circa il 30% dei lavoratori siano demotivati e di questi addirittura il 6% sono ostili, mentre un ulteriore 20% della popolazione è “insoddisfatta”. Sembrerebbero dei dati a dir poco sorprendenti, come può un’azienda raggiungere il suoi obiettivi se il 50% dei lavoratori sono demotivati o insoddisfatti?

La risposta non è tanto su quante persone sono motivate e soddisfatte nella nostra azienda, ma piuttosto sulla combinazione dei due fattori.

Cerchiamo allora di capire meglio precisando subito che, che Motivazione e Soddisfazione non sono la stessa cosa e soprattutto svolgono un ruolo diverso.

Un dipendente non motivato può essere soddisfatto, e un dipendente non soddisfatto può essere motivato. Non è un gioco di parole, perché la motivazione è l’energia e l’entusiasmo che ci spinge ad agire per soddisfare un bisogno, (la motivazione è primadella prestazione), la soddisfazione è il senso di appagamento per la prestazione fornita, (la soddisfazione è dopo la prestazione).

Possiamo quindi immaginare di suddividere l’universo dei collaboratori in 4 aree:

  1. Dipendenti motivati e soddisfatti, cosiddetti “felici” e performanti. Su queste persone abbiamo ben poco da dire se non mantenere alto il livello della sfida, metterli nella condizione di poter “vincere” e fornire la giusta soddisfazione per la loro performance.
  2.  Dipendenti motivati, ma non soddisfatti, cosiddetti “inquieti” seppur performanti, essenzialmente dipendenti contenti del proprio lavoro ma scontenti dell’ azienda che, dal loro punto di vista, non li mette in condizione di esprimere tutto il loro potenziale, o ancora dipendenti che vorrebbero sfide più grandi, ma soffrono la lentezza delle decisioni o della prudenza con cui si muovono i loro capi, sono persone che seppur performanti cominciano ad essere stanchi di investire energia per cercare di scalfire quello che pensano essere un muro di gomma. Sono persone che se non  recuperati in fretta, potrebbero cambiare azienda o perdere la motivazione, abbassare la performance o addirittura diventare degli “esauriti”.
  3. Dipendenti non motivati ma soddisfatti: vengono anche chiamati i “seduti”: possono essere molto pericolosi per il successo dell’impresa. Sono persone soddisfatte del proprio ufficio, dei benefits che hanno ottenuto, sono contenti della busta paga, dell’orario di lavoro, rigorosamente dalle nove alle sei, sono quelle persone che fanno lo stretto necessario perché tanto la vita è altrove. Sono persone che guardano all’innovazione con sospetto, anzi ostacolano o rallentano ogni forma di cambiamento proposto perché richiederebbe uno sforzo che non sono disposti a compiere.
  4.  Dipendenti né motivati né soddisfatti, cosiddetti esauriti: collaboratori che hanno esaurito la scorta di motivazione e soddisfazione. Energia zero, malumore alle stelle, sono persone convinte di aver dato all’azienda più di quanto hanno ricevuto. Attenzione perché queste persone possono diventare “ostili.

Fatta questa precisazione e ritornando alla ricerca presentata da SHRM, i collaboratori delle aziende americane oggetto della ricerca, che possiamo considerare un ostacolo allo sviluppo dell’azienda, rappresentano circa il 15% della popolazione e sono tra i seduti e gli esauriti.

E’ una percentuale comunque alta e che va gestita nel migliore dei modi. Come? Adoperarci per rendere l’intera popolazione aziendale “felice”.

Leonard Glick, professore di management e di sviluppo organizzativo presso la Northeastern University di Boston ci informa che per rendere “felici” (Motivati e Soddisfatti) tutti i nostri collaboratori “non è poi così difficile” basta applicare cinque “piccoli” accorgimenti:

  1. Generare senso di appartenenza dare alle persone la responsabilità degli obiettivi che si intendono raggiunge, in poche parole non offrire soltanto un posto dove si fanno delle cose ma un risultato che si vuole ottenere dando la possibilità di apportare un contributo anche in termini di idee.
  2. Permettere ai dipendenti di mettersi alla prova per testare i propri limiti. Offrire nuove responsabilità aumenteranno la loro fiducia in se stessi. Abbiamo visto che il rischio più grande è quello di avere dipendenti esauriti, o seduti.
  3. Comunicare, comunicare, comunicare, i dipendenti sono adulti e vanno trattati come tali. Bisogna dirgli le cose come stanno, anche quando non si tratta di buone notizie. Voci e informazioni incontrollate possono fare più danni. Condividere le informazioni rafforza la sensazione nei dipendenti di essere una parte importante dell’organizzazione.
  4. Avere dei capi che siano dei leader e dei leader che siano dei capi. Solo un leader sa trascinare motivare e portare un gruppo verso sfide impegnative, allo stesso tempo un atteggiamento alla pari – tipico di molti leader che amano fare gli “amiconi” – non funziona, perché prima o poi verrà il momento in cui si dovranno prendere delle decisioni e l’incoerenza è un nemico molto pericoloso.
  5. L’ultimo accorgimento riguarda la sfera economica, lo stipendio e i benefit: Il compenso deve essere equo e adeguato, ma la vera molla della motivazione si trova da un’altra parte: nelle sfide e nello scopo del lavoro, nell’opportunità di imparare e di dare il proprio contributo. Analogamente, i benefit sono importanti all’inizio, ma nel tempo perdono la propria capacità di tenere alta la motivazione: “perché non sono una fonte di ispirazione”.

Mi trovo spesso a parlare di motivazione sia con giovani neo laureati che intendono avviare la loro carriera nell’ambito della funzione HR, ma ancor più con responsabili della formazione di medie e grandi aziende che mi chiedono di progettare dei corsi di formazione o azioni di coaching per aumentare la motivazione di collaboratori ritenuti seduti o esauriti e la mia risposta e sempre la stessa: è inutile!

Solo dopo aver visto negli occhi dei miei interlocutori incredulità per quanto affermato, continuo dicendo che per raggiungere l’obiettivo dobbiamo coinvolgere anche i loro capi.

Come? Iniziando a far digerire e poi aiutandoli ad applicare i cinque “piccoli” accorgimenti di cui abbiamo parlato poco sopra.

Solo quando i capi saranno pronti, potremo intervenire anche sui collaboratori, perché la motivazione, più di ogni ulteriore competenza, si nutre anche dell’esempio.

Spencer & Spencer considerano la Motivazione come una delle cinque competenze fondamentali nel lavoro, ma la annoverano anche tra le più difficili da formare. Non impossibile, ma difficile! E tutti sappiamo che per raggiungere obiettivi difficili dobbiamo pianificare, monitorare, perseverare.

Vi parlerò di questo in un prossimo articolo.

 

Fonte: Daniele Bianchi (Linkedin)